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Bonifacio – I Love Corsica

Nella fantasia di molte persone il nome della Corsica rimanda prima di tutto all’immagine delle bianche scogliere di Bonifacio. Ma per quanto sia un paesaggio familiare e noto un po’ a tutti come gettonatissimo soggetto fotografico in libri, cartoline e dépliant, vederla di persona meraviglierà anche i più disincantati.

La Vecchia Cittadella è arroccata a 70 m su una falesia calcarea che domina sul lungo fiordo, protetto porto naturale.
A lungo fu sotto il dominio genovese, contro il quale niente poterono gli Aragonesi che tentarono di assediarla nel 1420; solo i corsi capeggiati da Sampietro Corso e con l’appoggio dei francesi (e del corsaro turco Dragut…) riuscirono nel 1553 a espugnare temporaneamente Bonifacio, che sei anni più tardi tornò però in mani genovesi, fino al 1768, quando con il trattato di Versailles divenne definitivamente francese.

Per raggiungere la Cittadella si possono prendere le due scalinate che salgono lato del porto verso la Porte de Gênes, e la Porte de France, punto di accesso per le macchine.
Bonifacio attrae naturalmente grandi folle di visitatori, ma a parte alcuni inevitabili negozi di souvenir, pellicole fotografiche e chincaglierie, non ha certo perso il suo fascino.
Dalle piazze e dalle aperture a sud della città si hanno delle bellissime panoramiche sul mare e sulle scogliere candide che sovrastano le Bocche.
Due belle chiese si possono visitare una all’interno della cittadella, la chiesa in stile pisano di Sainte-Marie-Majeure, e l’altra fuori dalle mura, in stile gotico, l’église Saint-Dominique, aperta però solo durante l’estate.

Oltre la chiesa, andando verso il cimitero marino, si può avere un altro stupendo punto d’osservazione.
Ma per godere maggiormente della bellezza di questi luoghi bisognerebbe approfittare di una delle escursioni in barca proposte in gran numero al porticciolo turistico da aprile a ottobre: si può fare un giro del fiordo e dei calanchi fino alla grotta dello Sdragonato e ammirare dal mare la città e le composizioni rocciose che la circondano, o arrivare fino all’arcipelago delle Lavezzi, con la possibilità (previe scorte d’acqua e di cibo), di fermarsi fino a quando non si ha voglia di riprendere un’altra delle corse che collegano le isole a Bonifacio più volte al giorno.
Le offerte proposte possono variare molto da compagnia a compagnia quindi conviene fare un accurato giro informativo lungo la Marina per trovare quella che fa al caso vostro.

Dall’incrocio fra l’Avenue Charles de Gaulle, la Montée Rastello e la Montée Saint-Roch, davanti all’accesso orientale della cittadella, parte un bellissimo sentiero che in poco più di un’ora porta allo stupendo Capo Pertusato e alla vista, indescrivibile, sulle intere Bocche e sulla città. Il sentiero è meraviglioso, ma è totalmente esposto al sole e nel periodo estivo è quindi da evitare nelle ore centrali della giornata.
Al Capo si può arrivare comunque anche in macchina dalla Marina.

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Auto Archives – Sicilia Turismo


Come arrivare in Sicilia in auto

Dal Nord Italia la Sicilia si raggiunge con la A1 fino a Napoli, a pagamento (esempio: Milano-Napoli 770 km ); da Napoli la A3 porta fino a Villa San Giovanni e Reggio Calabria (497 km; senza pedaggi…


Come muoversi in Sicilia in auto e moto

Due o quattro ruote saranno un mezzo indispensabile se volete visitare zone diverse della Sicilia e siti archeologici, che in molti casi si trovano in posizioni isolate e mal servite dai servizi pubb…


Muoversi in Sicilia

La Sicilia è una delle isole più grandi del Mediterraneo e le distanze tra una città e l’altra richiedono, anche in alcuni casi alcune ore di viaggio in automobile o in autobus, di più se si sc…

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Nave Archives – Sicilia Turismo


Come arrivare in Sicilia in nave

La nave è il mezzo consigliabile se si vuole portare in Sicilia la propria auto partendo dalle regioni del centro-nord. Se non avete intenzione di fare tappe intermedie, percorrere tutta la penisola …

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Storia della Sicilia – Sicilia Turismo

La Sicilia è l’isola del Mediterraneo che ha visto più conquistatori e nella quale questi hanno lasciato le loro tracce in maniera più profonda, nel bene e nel male. La sua storia è ricca quanto travagliata, fatta di fasti e glorie quanto di conflitti e decadenza, in una terra che per secoli ha vissuto come colonia delle civiltà più ricche e potenti dell’area del Mediterraneo, seguendone a fasi alterne le sorti.

Greci, romani, arabi, normanni, aragonesi le hanno lasciato una cultura profonda e vivace, preziose tradizioni culinarie che rivisitate e unite a quelle autoctone hanno dato origine a una delle cucine più buone del mondo, città e siti archeologici di una suggestione unica che fanno rivivere la complessa storia dell’isola. Il prezzo da pagare però è stato alto per la Sicilia, che, sfruttata a dismisura, ha visto nei secoli profonde crisi economiche e sociali.

La Preistoria

La Sicilia fu abitata fin dalla Preistoria da popolazioni provenienti dall’Europa orientale che hanno lasciato traccia di sé in molte pitture rupestri; le più interessanti si trovano sul Monte Pellegrino e nella grotta del Genovese a Levanzo. Nel Neolitico approdarono sulle coste orientali e sulle Eolie popolazioni provenienti dal Mediterraneo orientale, portatori di una civiltà piuttosto avanzata che unitasi alla popolazione autoctona dette origine alla cosiddetta civiltà di Stentinello, di cui ci rimangono numerose ceramiche.

Vennero importate nuove tecniche di lavorazione dei metalli e lo sviluppo di agricoltura e allevamento portò alla costruzione di fattorie e villaggi stabili, che divennero basi per commerci sempre più estesi verso le lontane civiltà mediterranee. Durante l’età del Bronzo e quella del Ferro arrivarono dall’Italia continentale nuove popolazioni: gli ausoni, che si stabilirono nelle Eolie, e i siculi, nella Sicilia orientale, spingendo le popolazioni autoctone verso l’interno. I siculi furono coloro che introdussero nell’isola l’uso del cavallo e il culto dei morti. Verso la metà del XIII secolo arrivano i Sicani, probabilmente di origine non indoeuropea, che si stanziarono principalmente nella zona occidentale della Sicilia, presto spinti verso l’interno dall’arrivo degli Elimi, i fondatori di Segesta ed Erice.

La Sicilia greca, cartaginese e romana; i barbari e i bizantini

Tra XI e X secolo avvenne la penetrazione dei cartaginesi, che si insediarono a Panormo (l’odierna Palermo), Solunto e Mozia fra l’VIII e VII sec. Nello stesso periodo furono fondate le colonie greche della Sicilia orientale: Naxos fu fondata da greci provenienti dalla penisola calcidica e dell’isola cicladica di Naxos; Megara Hyblaea dai megaresi; a Ortigia di insediarono i corinzi e a Gela alcuni gruppi provenienti da Creta e da Rodi.

A queste comunità dobbiamo il sito di Selinunte e la stupenda Valle dei Templi di Agrigento, la cui visione continua ad avere del magico nonostante gli aborti edilizi che campeggiano nella zona. Ai greci si deve anche l’importazione di vite e ulivo, che tanta importanza hanno avuto e hanno tuttora nella cucina siciliana e in quella italiana in generale, ma purtroppo anche quella delle lotte intestine fra le città, alimentate anche dal fatto che delle ricchezze del territorio beneficiavano soprattutto i proprietari terrieri a scapito dei siculi indigeni e dei coloni greci di ultima generazione. I gravi contrasti sociali che ne derivarono sfociarono in ribellioni popolari, cui l’aristocrazia rispose con la costituzione di tirannidi, come quelle di Agrigento, Gela, Lentini, e soprattutto Siracusa, che accentrò su di sé le redini di una temporanea coalizione in chiave anticartaginese e ottenne l’egemonia su quasi tutta l’isola per i secoli successivi.

I cartaginesi di Annibale tentarono di approfittare della situazione di instabilità delle colonie greche occupando e saccheggiando Selinunte, Imera, Agrigento e Gela. La risposta del tiranno di Siracusa, Dionigi I, fu la distruzione della colonia punica di Mozia, i cui superstiti fondarono un nuovo insediamento a Lilibeo, l’odierna Marsala. Siracusa divenne una delle massime potenze del Mediterraneo, riassoggettò sotto il proprio potere tutta la Sicilia orientale e Dionigi si spinse addirittura sulle coste adriatiche dove fondò Ancona.

Non riuscì però a cacciare completamente i cartaginesi dall’isola e le guerre contro Cartagine continuarono fino al III secolo, quando entrò nella scena un nuovo imponente protagonista, l’impero romano, che sconfisse definitivamente Cartagine nel 241 rendendo la Sicilia una propria colonia. Siracusa fu fatta tributaria di Roma, la cittadinanza di Agrigento fu venduta schiava e sostituita con siciliani filo-romani e larghe confische del territorio portarono allo sviluppo del latifondo, alla diminuzione degli abitanti e alla decadenza economica dell’intera isola, con la conseguenza che cominciò maturare un certo indipendentismo e si moltiplicarono le rivolte degli schiavi.
Nel 439 d.C. fa Sicilia fu invasa dai Vandali, poi arrivarono gli ostrogoti di Teodorico che la riunì nuovamente all’Italia; ma nel 535 a.C. Belisario, generale bizantino, la riconquistò.

L’epoca araba

Per circa 300 anni la Sicilia fu oggetto di continue scorrerie da parte soprattutto dei pirati saraceni provenienti dal Nord Africa. I mori all’epoca erano ormai diventati la potenza più dinamica del Mediterraneo e in seguito alla conquista di Pantelleria intorno al 700, vennero stipulati degli accordi commerciali che permisero ai mercanti arabi di insediarsi in alcuni porti della Sicilia orientale, prodromo della conquista araba vera e propria che avvenne nell’827 con diecimila saraceni, fra arabi, berberi e musulmani spagnoli, che approdarono a Mazara del Vallo; nell’831 fu la volta di Palermo mentre l’invasione dell’intera isola fu completata solo nel 965, dopo il saccheggio nell’878 della città di Siracusa e il massacro della sua popolazione.

Sotto gli arabi Palermo divenne una delle maggiori città del mondo, un centro cosmopolita ricco di giardini, sontuosi palazzi e moschee. Furono ricolonizzate le zone rurali, i grandi e improduttivi latifondi furono suddivisi e furono introdotte nuove colture come agrumi, canna da zucchero, lino, cotone, seta, meloni e palme da dattero, grazie a grandi lavori di ampliamento delle opere d’irrigazione. Fu sviluppata l’attività estrattiva, dato grande impulso alle saline e intensificati i commerci, che riportarono la Sicilia al centro di una fiorente rete commerciale.

Ancora, sotto gli arabi le imposte furono ridotte grazie a una più funzionale razionalizzazione e ci fu una maggiore tolleranza religiosa rispetto al periodo bizantino, anche se i non musulmani erano soggetti a un certo grado di discriminazione sociale, che contribuì molto probabilmente alla conversione di molti siciliani alla fede musulmana. L’eredità araba è rimasta anche in molti toponimi; un esempio per tutti è Pantelleria dove questa influenza è particolarmente marcata (Monte Gibele, Kamma, Bugeber, Bukkuram, Gadir…). O anche nella pesca: la terminologia legata alla mattanza dei tonni nelle isole Egadi è quasi tutta di origine araba.

Il secolo normanno

In seguito a lotte di potere interne al mondo arabo la capitale dell’impero fu trasferita in Egitto e la Sicilia perse la sua posizione centrale nel Mediterraneo arabo, diventando vulnerabile agli attacchi esterni. In seguito a una richiesta d’aiuto da parte di una delle fazioni arabe in lotta, Messina fu assediata nel 1061 da Ruggero d’Altavilla. Fu il primo passo della conquista normanna che si concluse però solo 30 anni dopo. Nel 1072 Palermo fu conquistata e proclamata capitale della Sicilia normanna.

Il secolo di dominazione normanna fu il periodo di massimo splendore della città e dell’intera isola, un’epoca feconda e irripetibile; il patrimonio artistico e architettonico lasciato in eredità non ha eguali, per la sua vastità e qualità, avendo assorbito i precedenti stili bizantino e arabo e avendoli incorporati nei grandi edifici civili e religiosi normanni che a distanza di secoli lasciano ancora a bocca aperta: il Palazzo dei Normanni, la cattedrale e la Zisa a Palermo, la cattedrale di Monreale, quella di Cefalù sono solo alcuni dei contributi architettonici più spettacolari. I normanni puntarono su una politica dell’accettazione, della tolleranza religiosa e dell’integrazione affidandosi alle strutture preesistenti, non potendo d’altra parte contare su un numero sufficiente di propri coloni; resero più efficiente l’amministrazione e imposero il francese e l’italiano in un’isola che era stata in gran parte araba e, di fatto, definirono il contesto socio-politico per i sette secoli di dominio straniero a venire. Ruggero I promosse lo sviluppo economico dell’isola, reinstaurò il cattolicesimo e puntò molto sui buoni rapporti diplomatici con le altre potenze, arrivando a far sposare le proprie figlie con gli eredi di due delle più potenti dinastie europee (uno dei quali fu il figlio dell’imperatore d’Occidente Enrico IV).

Suo successore fu il figlio Ruggero II, primo re normanno di Sicilia e uno dei regnanti più carismatici e dotati d’ingegno dell’Europa medievale, che rese l’isola il crogiolo degli elementi più creativi e capaci del mondo mediterraneo. Fu lui ad esempio a convocare a corte il geografo e viaggiatore arabo Idrisi incaricandolo di redigere un compendio del mondo allora conosciuto, quello che divenne “Il Libro di Ruggero”; le pagine dedicate da Idrisi alla Sicilia di Ruggero II parlano nientemeno che della “gemma del secolo”… Mecenate delle arti, Ruggero parlava anche il greco ed ebbe come suoi consiglieri molti musulmani. Con lui la Sicilia fu unita all’Italia meridionale, conquistò anche Malta e alcune città della costa nordafricana (Tripoli e Djerba), e occupò Corfù, ottenendo così l’egemonia anche sul Mediterraneo centrale. Durante il suo regno fu redatto il primo codice di leggi scritto della Sicilia.

Dagli svevi alla dominazione spagnola

La discendenza di Ruggero II non riuscì a essere all’altezza di un così illustre predecessore e progressivamente allontanò l’influenza araba dall’isola; inoltre le ribellioni dei baroni si fecero sempre più frequenti e le divisioni interne favorirono l’arrivo nel 1194 della flotta di Enrico VI di Svevia, diventato imperatore nel 1191 e venuto a reclamare i suoi diritti di successione sull’isola (nel 1186 aveva sposato Costanza, zia del re normanno Guglielmo II, morto a 36 anni senza discendenti diretti).

A Enrico VI successe Federico II di Svevia, che restaurò sull’isola la struttura burocratico-amministrativa dello Stato normanno e dette un’impronta più autoritaria e imperiale alla società, estendendo la propria egemonia a spese dell’indipendenza del clero e dell’autonomia delle città, per tenere a freno le quali fece erigere, in Sicilia come in altre zone del sud Italia, imponenti castelli come quelli di Milazzo, Catania, Siracusa e Augusta. Federico II, diventato re di Sicilia con il nome di Federico I, rese l’isola il primo Stato moderno d’Europa dal punto di vista amministrativo e legislativo, ma nel tentativo di omogeneizzare la società siciliana si rivolse contro quelle che ormai erano diventate delle minoranze, come quella musulmana.

Tuttavia, fu un grande patrocinatore delle arti (fu alla sua corte che si formò la scuola poetica siciliana, che tanta importanza ebbe nello sviluppo della lingua e della letteratura italiana), delle scienze naturali, del diritto e della medicina.

Alla sua morte però il figlio Manfredi non riuscì a fermare il declino della Sicilia sotto le spinte dei tentativi di usurpazione dei baroni e delle mire annessionistiche dei monarchi stranieri e nel 1268 l’isola divenne possedimento degli Angioini, che furono però cacciati nel 1282 con l’insurrezione conosciuta come quella Vespri Siciliani.

Fu la volta di aragonesi e spagnoli, la cui dominazione durò fino al 1713. L’anno successivo, con la pace di Utrecht, l’isola fu assegnata alla Casa Savoia che la barattò con l’Austria incambio della Sardegna. Nel 1738 tornò in mano spagnola con i Borboni, che vi dominarono incontrastati fino al 1860, l’anno dell’impresa garibaldina dei Mille, dopo la quale la Sicilia fu unita al Regno d’Italia.

Dall’Unità d’Italia alla contemporaneità

All’epoca dell’Unità la regione era gravata da sottosviluppo e da arretratezza economica, la situazione dei contadini siciliani era addirittura peggiorata rispetto all’epoca borbonica e si diffuse il brigantaggio, fenomeno sociale di ribellione al nuovo dominio della borghesia. Fu allora che si cominciò a parlare di questione meridionale, nella quale all’interno delle già critiche dinamiche economiche e sociali cominciò a inserirsi la mafia, organizzazione criminale dalla struttura non rigida che riusciva facilmente a manipolare le procedure di voto con la falsa maschera di difensore dei deboli.

Alla fine del secolo fece la sua comparsa una opposizione organizzata, quella dei fasci siciliani (o fasci dei lavoratori), un movimento sindacale di ispirazione socialista nato nel 1891 che chiedeva riforme e leggi a tutela degli interessi dei lavoratori e che conquistò un vasto seguito fra i contadini. Nel 1894 ci furono violente agitazioni, per reprimere le quali i grandi latifondisti chiesero aiuto al governo centrale.

Nonostante la formazioni di alcune cooperative di lavoratori e l’attuazione di illuminati programmi di riforma agraria da parte di singoli individui come don Luigi Sturzo, le condizioni di vita nelle campagne si facevano sempre più dure e cominciò la grande emigrazione verso l’America, raccontata magistralmente in numerosi film.
Le campagne belliche dell’occupazione della Libia e della prima guerra mondiale colpirono gravemente l’economia siciliana.

Mussolini, una volta assunto il potere a Roma, in gran parte senza il sostegno dei siciliani, decise di risolvere la questione meridionale incaricando il prefetto di Palermo di “sgominare la mafia”, che nel frattempo aveva già esteso i propri tentacoli negli Stati Uniti. Gli arresti di migliaia di sospetti mafiosi, a volte sulla base solo di deboli indizi, senza riuscire a colpire i gangli dell’organizzazione, non solo non servirono a sgominare la mafia dalla Sicilia, ma la spinsero a operare ancora più segretamente.

Negli anni Trenta, a sostegno delle imprese belliche, la Sicilia venne letteralmente spremuta per la produzione di grano; questa pratica di coltivazione intensiva a scapito della diversificazione delle colture, elemento vitale per l’economia siciliana, impoverì il terreno e causò l’erosione del suolo.

Durante la seconda guerra mondiale la Sicilia fu il primo lembo di territorio italiano a essere invasa dagli Alleati, nel luglio 1943. Da questo momento i bombardamenti sulle città si fecero serrati, Messina in particolare, che ancora non si era ripresa dal devastante terremoto del 1908, fu pesantemente colpita, prima che le truppe alleate arrivassero alle sue porte il 18 agosto.
Nel dopoguerra lentamente la Sicilia tentò di risollevarsi. Intanto, però, riprendeva forza il separatismo, che cominciava a organizzarsi in bande armate violente finanziate dai più potenti proprietari terrieri. Fu per rispondere e in qualche modo tamponare il fenomeno che nel 1946 alla Sicilia fu riconosciuto lo statuto speciale di regione autonoma, dotata di un proprio parlamento.

L’autonomia non riuscì tutavia a sanare le divisioni e i conflitti dell’sola, e la mafia e i vecchi proprietari terrieri più reazionari si scatenarono usando la violenza contro quella che ritenevano la maggiore minaccia al loro potere: il comunismo. L’apoteosi di questo delirio ci fu il 1° maggio del 1947, a Portella della Ginestra, dove durante una manifestazione organizzata in occasione della festa dei lavoratori, 11 persone furono uccise e altre 33 ferite, ad opera della banda di Salvatore Giuliano, ex capo di una delle bande armate separatiste in seguito arruolato alla causa anticomunista.

Il potere occulto della mafia cominciava a farsi strada nelle città, diventando sempre più potente grazie ai suoi legami con il potere politico, le sue speculazioni edilizie, il contrabbando, il traffico di droga e il pizzo, ancora molto diffuso e che, dopo anni di minacce e paura, coraggiosi commercianti e cittadini hanno iniziato a combattere, denunciando apertamente i propri estorsori.

Negli anni Settanta la mafia ha cominciato a colpire con sanguinosi attentati una serie di alti funzionari e persone impegnate a denunciarne e combatterne le attività criminose. Il governo decennale della Democrazia Cristiana, con la sua cultura conservatrice e bigotta e con la sua politica burocrate e clientelare non poté certo risollevare la situazione.
Un settore che riuscì a evitare il controllo dell’amministrazione e una pianificazione di qualsiasi tipo fu quello edilizio, le cui realizzazioni, spesso obbrobriose, feriscono tuttora lo sguardo di numerosi paesaggi naturali e archeologici. Il settore industriale ha sofferto di mala amministrazione, mentre il settore agricolo è stato abbandonato a se stesso e patisce la mancanza di finanziamenti. Finanziamenti che quando arrivano, siano rivolti all’industria o all’agricoltura, si perdono il più delle volte negli oscuri meandri della cattiva amministrazione, della corruzione o della collusione delle autorità con la mafia, che ogni tanto si vede servire su un piatto d’argento occasioni d’oro come il progetto di costruzione di un ponte sullo Stretto di Messina, dal pesante impatto ambientale e dalle numerose possibilità di infiltrazione mafiosa con ingenti investimenti di narcoeuro nella costruzione del ponte (rapporto 2° semestre 2005 della DIA – Direzione investigativa antimafia).

Ed è forse questa amara consapevolezza di un legame inscindibile fra poteri politici e mafia, insieme al livello di atrocità raggiunto dalle stragi mafiose dei primi anni Novanta con le uccisioni dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che ha fatto alzare la testa a molti siciliani, che hanno scelto di rifiutare la maschera dell’omertà e di lottare quotidianamente contro la logica di morte e terrore di Cosa Nostra. Chi denunciando chi chiede il pizzo per poter tenere aperta la propria attività commerciale, chi riunendosi in associazioni, gruppi, realtà di base, impegnandosi a diffondere una cultura di giustizia sociale, chi lavorando nelle scuole per far conoscere a bambini e ragazzi che cos’è la mafia e perché combatterla.

Quello che forse meglio rappresenta la nuova aria che sta tirando in Sicilia è “Libera – Associazioni, nomi e numeri contro le mafie”, un coordinamento di oltre 1500 associazioni, gruppi, scuole, realtà di base, siciliane ma non solo, territorialmente impegnati nella costruzione e nella diffusione di una cultura della legalità, della giustizia sociale e della tutela ambientale attraverso campi di formazione antimafia, attività antiusura, e progetti di recupero dei beni confiscati alle mafie, secondo la legge 109/96 che prevede l’assegnazione dei patrimoni e delle ricchezze di provenienza illecita a quei soggetti – associazioni, cooperative, Comuni, Province e Regioni – in grado di restituirli alla cittadinanza, tramite servizi, attività di promozione sociale e lavoro. Così si presenta al giorno d’oggi una (buona) parte della società civile siciliana che, seppur ferita dopo tutti i secoli di conquiste spesso sanguinose e colonizzazioni predatrici, potentati a volte illuminati ma pur sempre stranieri, oppure autoctoni ma occulti e mortiferi, dà una lezione di speranza alzando la testa e facendo sentire la propria voce. Un altro ottimo motivo per fare un viaggio in questa bellissima isola.

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Clima e Meteo in Sicilia – Sicilia Turismo

Il clima estivo siciliano è quello che rende l’isola decisamente più africana che europea.

In genere il caldo è più secco che afoso, e questo potrà essere d’aiuto a coloro che sopportano temperature alte ma ben poca umidità; la scarsissima piovosità nei mesi estivi è sicuramente un buon incentivo per chi ama le spiagge ma è anche una piaga per molti siciliani, che in molte province soffrono frequenti crisi idriche.

Se nel vostro itinerario pensate di includere le mete balneari o archeologiche più frequentate, forse è il caso che scegliate di andare in Sicilia in primavera o in autunno, quando c’è già o ancora caldo (si può fare il bagno da aprile ad ottobre e a Lampedusa, dicono fonti attendibili, addirittura fino a novembre…), ma non troverete ressa nelle spiagge, nei siti e nelle città d’arte e i prezzi (comunque difficilmente esosi come in altre regioni italiane…) saranno più bassi. Per molti la primavera è la stagione più bella per visitare la Sicilia, per le meravigliose fioriture che colorano il paesaggio e riempiono l’aria di profumi. A Pasqua in molti paesi si tengono feste tradizionali molto belle ed è un’ottima occasione per mangiare le tante specialità legate a questa ricorrenza.

Per chi preferisce l’inverno, il clima costiero è piuttosto mite e permette di passare diverse ore all’aria aperta visitando siti archeologici e città, soprattutto lungo la costa meridionale; sulle cime più alte delle Madonie e sull’Etna spesso nevica e si trovano anche alcuni impianti sciistici, mentre le aree a ridosso della costa tirrenica e nella zona di Messina e dell’Etna sono piuttosto piovose. Se volete visitare le isole minori in questa stagione dell’anno tenete presente che le corse dei traghetti sono ridotte e che può capitare di rimanere bloccati su un’isola un po’ più del previsto se le condizioni del mare sono particolarmente avverse.

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Cucina in Sicilia – Sicilia Turismo

Visto che solo sulla cucina siciliana persone più competenti hanno scritto fior di libri, prima di stilare un bignami delle specialità siciliane premetto solo che l’arte culinaria dell’isola vale da sola il viaggio.

La cucina siciliana ha una tradizione antichissima, che ha colto elementi greci, arabi, normanni, spagnoli, francesi per creare una varietà di sapori che forse non ha eguali nell’area mediterranea. Ecco perché vi capiterà di trovare specialità anche molto diverse nel raggio di poche decine di chilometri.

I greci hanno importato vite e ulivo e con questi, una cucina molto legata ai prodotti della terra e del sole, soprattutto nella parte orientale dell’isola.

Agli arabi si devono i contrasti agrodolci che caratterizzano le province e le isole occidentali (l’accostamento di capperi, uvetta e mandorle, anche in molti piatti di pasta, è qualcosa di speciale…), così come l’introduzione del cuscus, che a Palermo come a Trapani o a Pantelleria è un piatto molto comune, o l’ampio uso di spezie come cannella e sesamo, o, ancora, la cassata, che poi ha preso le sue decorazioni “barocche” durante la dominazione spagnola.

Cassate a parte, i dolci in generale in Sicilia sono una meraviglia, ovunque si trovano pasticcerie e gelaterie che corromperebbero anche i palati più recalcitranti.

La loro forza, come quella di tutti i piatti siciliani, anche quelli più semplici, sta nella qualità dei prodotti locali: frutta e verdura qui crescono con particolare rigogliosità, e si trova una gran varietà di pesce azzurro (sarde, sardine, alici, sgombri…) freschissimo a seconda delle loro stagionalità, molto sano e ottimo nella preparazione di primi, come la popolarissima pasta con le sarde. Ovviamente non mancano i grandi pesci come tonno e pesce spada, cucinati in molti modi diversi in varie parti dell’isola o usati anche questi nella preparazione di gustosi piatti di pasta, ma i piccoli pesci come sarde e sardine sono molto più economici e più salutari rispetto ai grandi predatori.

Mangiare in Sicilia, oltre ad essere un’esperienza gastonomica unica, è anche molto poco dispendioso! Le colazioni al bar sono un invito a delinquere in peccati di gola, i prezzi sono decisamente sotto la media delle città del centro nord e inversamente proporzionali alle dimensioni di brioches e altri prodotti da forno. In molti ristoranti per un pasto completo (primo, secondo, bevande). Le pizze sono ottime, molto spesso a parimerito con quelle napoletane e molto economiche.

E poi ovviamente, c’è tutta l’infinita gamma di posti in cui consumare i cosiddetti “spuntini veloci”, che nella maggior parte dei casi sono sostanziosi quanto un pranzo o una cena: bar, pasticcerie, friggitorie, rosticcerie o bancarelle che servono cibo da strada nei mercati.

La scelta è impressionante: nei bar e nelle pasticcerie si trovano sia dolci di tutti i tipi (subimi…) che salati (molto golosi), dagli arancini ai panini farciti; nelle rosticcerie si trovano paste al forno, lasagne, polli arrosto, crocchette, focacce, pesce, e altre specialità che in molti casi potrete consumare in loco, visto che molte hanno posti a sedere, a volte anche all’aperto.

Nei mercati poi c’è da sbizzarrirsi: nelle bancarelle si trova di tutto, dai palermitani panini con la meuza (milza), ai panini con le panelle (delle specie di frittatine a base di ceci, simile alla cecina toscana o alla socca nizzarda), dalle verdure fritte, grigliate, bollite, a polpi, frutti di mare, fritture di pesce.

Inoltre nelle città si trovano ancora focaccerie tradizionali che producono pani e focacce di tanti tipi, e anche i semplici panifici sono un’ottima ed economica soluzione, per prodotti da forno sia dolci che salati.

Antipasti o spuntini veloci

(concetti entrambi molto relativi, visto che quasi sempre costituiscono un pasto completo):

  • Arancini: sono delle specie di polpette di riso che si possono trovare farcite in vari modi: con ragù e piselli, al burro, con mozzarella e prosciutto cotto. A Palermo si trovano anche con pinoli e uvetta, mentre ovunque si può trovare la versione normale, grande appunto più o meno come un’arancia, e la versione bomba, dove le dimensioni si avvicinano di più a quelle di un pompelmo… Con un arancino e qualcosa da bere siete sistemati per qualche ora.
  • Caponata: è un mix di verdure, soffritte e poi condite in agrodolce, la cui base sono melanzane, pomodori e in genere cipolle e olive, ma la cui composizione può variare molto a seconda del posto in cui vi trovate e a seconda di chi lo prepara: ci possono esere anche altre verdure come peperoni, spinaci, cavolfiore o sedano, o ingredienti come capperi (molto diffusi), pinoli, uvetta, cannella, mandorle… Insomma, non esiste un’unica caponata, ma almeno tante ricette quante sono le persone che la cucinano ed è quasi impossibile mangiarne due uguali! Anche questa è considerata un antipasto, o un contorno… in realtà con un po’ di pane è un ottima piatto unico.
  • Cassatelle di formaggio: piccoli panzerotti fritti farciti con caciocavallo e filetti d’acciuga.
  • Cazzilli: crocchette di patate, a volte con aggiunta di formaggio e prosciutto cotto. Si trovano anche nei bar e nelle pasticcerie, ma essendo fritte il posto migliore in cui mangiarle sono nelle friggitorie e nelle rosticcerie, dove vengono servite ancora calde.
  • Crespelle catanesi: frittelle tonde e dolci (con riso o ricotta), o lunghe e salate (con acciughe e semi di finocchietto).
  • Ficazza: soppressata di interiora di tonno speziate, tipica del trapanese.
  • Insalata di arance: arance tagliate a fette sottili e condite con olio e prezzemolo.
  • Olive farcite: olive verdi farcite con capperi e acciughe e conservate prima in salamoia poi sott’olio, o con purea di pomodori, purea di peperoni e capperi.
  • Panelle: simili alla cecina toscana e alla socca di Nizza, sono delle specie di polentine fritte a base di farina di ceci, servite anche da sole, sono però ottime in mezzo a un panino.
  • Pani ca’ meusa: panino ripieno di milza di vitello, ritagli di polmone esofago e fegato, tutto bollito e ripassato nello strutto. Nella versione “schietta” è solo con sale e limone, nella versione “maritata” è con scaglie di ricotta o caciocavallo.
  • Sfigghiata (o nunnata): bianchetti (novellame del pesce azzurro) o scottati e conditi con olio e limone, o fritti, oppure usati per frittate o frittelle.

Focacce e schiacciate

  • Cabucio: focaccia tipica trapanese a forma di panino leggermente schiacciato, passata in forno caldissimo, tagliati a metà e farciti con pomodoro fresco, acciughe, origano, pepe, sale e un filo d’olio.
  • Cudduruni: focaccia lievitata cotta in forno e condita con olio e fettine d’aglio.
  • Guastedde: quelle di Enna somigliano a delle pizze condite con pomodoro fresco e pancetta salata, o con carciofi, acciughe e ricotta salata; quelle palermitane sono una variante del panino ca’ meusa (panino con la milza) e sono delle pagnottelle coi semi di sesamo imbottite di milza soffritta nello strutto, ricotta e caciocavallo e si trovano in alcune focaccerie e nelle bancarelle che servono cibo da strada nei mercati.
  • Impanate siracusane: focacce di pasta di pane rustico farcite con broccoletti, salsiccia, formaggio primosale, olio e peperoncino, o con patate, pomodori e cipolla.
  • Pastizzu: focacce tipiche di Ragusa, cotte con già all’interno un ripieno di carne di maiale tritata, sale e pepe nero, oppure di melanzane a dadini fritte e pomodori freschi spellati, basilico, formaggio primosale a fette, pecorino o caciocavallo grattugiato, olio, sale e pepe, oppure con ricotta e piselli stufati con la cipolla, o ancora con ricotta, spinaci, primosale, oppure carciofi saltati in padella con olio, aglio e prezzemolo, uova, acciughe e formaggio tuma.
  • Rianata: pizza rustica tipica trapanese che prende il nome dall’abbondanza di origano con cui è condita insieme a pomodori freschi tagliati a pezzetti senza buccia e senza semi, aglio, acciughe, pecorino grattugiato, olio, sale, pepe. Viene servita appena tolta dal forno.
  • Scacciata: focaccia casereccia catanese farcita con ripieni vari e servita calda. Si può trovare con formaggio tuma, acciughe, olio e pepe; cavolfiore bollito e saltato in padella, formaggio al pepe, acciughe, aglio e olio; acciughe, tuma, scalogni, olio e pepe; broccoletti bolliti e ripassati in padella, olive nere, primosale, aglio, acciughe, olio e pepe.
  • Scaccie: focacce caserecce tipiche di Modica, spianate in sfoglie sottili e tonde, farcite con ripieni vari e arrotolate su se stesse, spennellate d’olio e cotte in forno. Si trovano con pomodori soffritti con la cipolla, caciocavallo grattugiato e peperoncino rosso piccante; melanzane fritte, pomodori freschi spellati e senza semi, caciocavallo grattugiato, basilico, sale e pepe; ricotta, cipolline novelle, caciocavallo grattugiato, uova, sale e pepe.
  • Sfigghiulata: una sfoglia di pasta di pane rustica farcita con pecorino fresco o caciotta a pezzetti, origano e acciughe, oppure con formaggio e salsiccia secca o salame, arrotolata e cotta in forno.
  • Sfincione: la versione agrigentina è una focaccia farcita con patate, pomodori, cipolle, olive nere e parmigiano grattugiato; quella palermitana è una focaccia più alta e soffice condita con formaggio primosale o pecorino o caciocavallo, acciughe, cipolle, mollica di pane grattugiata, origano, prezzemolo, olio, sale, pepe e salsa di pomodoro.

Pasta e primi piatti

  • Cannelloni alla siciliana: farciti con stufato di manzo e caciocavallo grattugiato e rifiniti con uova sbattute, caciocavallo grattugiato e il sugo dello stufato.
  • Cavatiddi, o cavati, o gnucchitteddi, o gnocculi, o cavasuneddi…: sono i cavatelli, pasta di farina di grano duro e acqua di forma allungata e con una incavatura all’interno; possono essere conditi in molti modi.
  • Cous cous: deve la sua diffusione in Sicilia (occidentale soprattutto) all’influsso arabo e alla presenza di una numerosa comunità tunisina, ed è stato perfettamente mutuato nella cucina siciliana, dove prevale la variante al pesce. San Vito Lo Capo dedica ogni anno a questo piatto un grandioso festival.
  • Maccu: purea di fave secche aromatizzata con finocchietto selvatico e condita con olio extravergine d’oliva, a volte anche con soffritto di cipolla e pomodoro per accompagnare la pasta oppure, a Palermo, con zucca gialla soffritta. In Sicilia lo si prepara da secoli, ed è uno dei piatti più antichi del Mediterraneo.
  • Pasta alla carrettiera: prende il nome dai carrettieri ambulanti di Catania; è pasta lunga (spaghetti o bucatini) condita con salsa di pomodoro crudo aromatizzata con olio, aglio e basilico, con l’aggiunta a volte di pecorino.
  • Pasta alla Norma: specialità anche questa catanese, che prende il nome dalla Norma di Bellini; pasta (spaghetti o penne, o anche cavatelli) condita con pomodoro, basilico, ricotta salata o pecorino e ricopera con fette di melanzane fritte.
  • Pasta a picchi pacchiu: pasta, lunga o corta, condita con pomodori freschi marinati con olio, aglio, basilico e peperoncino, insieme a caciocavallo grattugiato.
  • Busiate con pesto trapanese (o maccaruna di casa): pasta casereccia preparata avvolgendo rettangolini di pasta intorno a un ferro da calza, condita con il pesto alla trapanese (il salamureci), veramente ottimo: basilico, pomodori freschi, aglio, basilico, olio, sale e in aggiunta mandorle grattugiate.
  • Pasta ‘cchi masculini: pasta, lunga o corta, condita con i mascolini, alici piccolissime saltate in olio, aglio e prezzemolo, e con pecorino piccante o ricotta salata grattugiata.
  • Pasta con i ceci (ciceri ca pasta): ditali rigati o sedani conditi con sugo di ceci, pancetta o lardo, cipolla, olio, salsa di pomodoro, peperoncino, salvia e rosmarino.
  • Pasta con la mollica (pasta ‘cca muddica): pasta lunga (spaghetti o linguine) condita con olio, aglio e alici, legati con mollica di pane grattugiata.
  • Pasta con le sarde: la regina delle pastasciutte siciliane e a seconda della qualità e della freschezza dei suoi ingredienti diventa un piccolo capolavoro culinario; l’acqua di cottura della pasta (spaghetti o bucatini) viene aromatizzata con finocchietto selvatico, la pasta viene poi condita con sarde sfilettate, capperi, acciughe fresche, cipolla tritata, pinoli, uvetta, pepe e finocchietto selvatico e in genere servita con sopra mandorle tostate e tritate.
  • Pasta ‘ncasciata: timballo di maccheroni, ragù di carne, polpettine, fettine di uova sode, melanzane fritte, piselli, salame e caciocavallo, passato al forno e servito con ragù di carne.
  • Ravioli con menta e ricotta: tipici di Pantelleria e preparati col formaggio fresco locale.
  • Spaghetti alla siracusana: conditi con bottarga siciliana di tonno, filett di aringa affumicata, olio d’oliva e aromi vari.
  • Spaghetti alla trapanese: conditi con il pesto alla trapanese, con basilico, pomodori freschi, aglio, basilico, olio, sale e mandorle grattugiate.

Carne

  • Badduzze o badduzzi: polpette che possono essere cucinate in vari modi: nel sugo di pomodoro, in brodo o alla griglia con foglie di limone.
  • Carne agglassata o agrassata: un arrosto di manzo cotto a fuoco lento con strutto, cipolla, vino bianco, rosmarino, sale e pepe; forse di origine francese, è un piatto nobile della cucina siciliana.
  • Cotoletta alla siciliana: cotoletta senza osso marinata in aceto, cosparsa di formaggio grattugiato, aglio e prezzemolo tritati, passata nell’uovo e nel pane grattugiato e fritta.
  • Farsu magru: grossa fetta di vitello o manzo magro ricoperta di uova sode, formaggio, prosciutto, lardo, piselli o uvetta e pinoli, salsiccia e aromi, arrotolata, legata, cotta in umido al pomodoro e affettata.
  • Scaloppine al Marsala: scaloppine di maiale infarinate e cotte in padella prima con il burro e poi con l’aggiunta di Marsala.
  • Trippa all’olivetana: trippa cucinata in tegame e ripassata al forno a strati con melanzane fritte, formaggio e uova sode, tipica di Enna.

Pesce

  • Acciughe all’arancia: disposte in una teglia a strati con olive, capperi, fettine di limone ed erbe aromatiche, cotte al forno e aromatizzate con succo d’arancia.
  • Involtini di pesce spada o di tonno fresco: i primi sono farciti con provolone, pane grattugiato, aglio, basilico, prezzemolo, uovo e ritagli di pesce spada saltati con cipolla e tritati, poi cotti alla griglia e serviti con una salsa di olio, aglio, succo di limone, prezzemolo e origano cotta a bagnomaria; quelli di tonno sono farciti con mollica di pane, prezzemolo, aglio, uova sode tritate, pecorino grattugiato e polpa di tonno tritata, fritti e cotti in una salsa di pomodoro e cipolla.
  • Impanata di pesce: una torta salata che può essere di palombo o di pesce spada; la base è una pasta frolla, che nel primo caso viene farcita con una salsina a base di cipolla, pomodoro, sedano, olive, capperi e palombo a pezzetti, e con zucchine passate nell’uovo sbattuto, infarinate e fritte, nel secondo caso è condita con una salsa di pomodoro in cui è stato cotto il pesce a pezzetti in un soffritto di olio, cipolla, sedano, olive e capperi, poi si aggiunge uno strato di zucchine fritte e altro pesce spada in salsa, si chiude la torta con un’altra sfoglia di pasta frolla che si cuoce in forno.
  • Pesce spada a ghiotta: tranci di pescespada cotti in padella con salsa di pomodoro, patate, olive, capperi e sedano. Piatto tipico di Messina.
  • Pesce stocco a ghiotta (o stocca alla messinese): pezzi di stoccafisso infarinati, fritti e rimessi nel tegame con una salsa di pomodoro, erbe aromatiche, uvetta, pinoli, capperi, acciughe, olive e patate.
  • Purpetti (o crispeddi) di nunnata: frittelle/polpettine di bianchetti sbattuti insieme a uova e un trito di prezzemolo, aglio, e fritti.
  • Sarde a beccafico: si trovano più varianti. In quella palermitana le sarde private della testa e della lisca e vengono disposte aperte su un tegame precedentemente unto di olio, coperte con pangrattato, acciughe, pinoli, cannella, uvetta, passate al forno e spruzzate con succo di arancia o di limone. A Catania vengono bagnate nell’aceto, coperte di formaggio, prezzemolo e aglio, passate nell’uovo e nel pangrattato e fritte. Simile è la versione messinese, dove in aggiunta le sarde vengono ripassate in padella con salsa di pomodoro, capperi e olive.
  • Tonno a sfincione: ricetta molto diffusa a Palermo, dove le fette di tonno vengono condite a strati con olio, sale e origano, coperte con pane grattugiato, fette di cipolla e pomodori freschi spellati e cotte al forno.
  • Tunnina fritta: bistecchine di tonno fritte e insaporite con limone e origano.

Verdure

Vengono consumate in gran quantità fresche, o in cotture semplici per contorni leggeri, ma vengono usate anche in preparazioni particolari.

  • Frittedda: a base di carciofi, scalogni, piselli, fave soffritti. Anche in questo caso con alcune varianti: a Palermo si cucina in agrodolce con aceto, o limone, e zucchero e servita fredda, mentre a Enna e nelle Madonie viene aromatizzata con finocchietto selvatico.
  • Insalata turca: verdure alla brace servite fredde e aromatizzate con olio, aglio, sale e pepe.
  • Melanzane a quaglie: tipiche di Palermo, sono piccole melanzane tagliate a fette uguali, ritagliate in altre listarelle così da formare 16 bastoncini uniti alla base e fritte.
  • Milinciani o pipi ‘ncudduriati: involtini di melanzane o di peperoni arrostiti farciti con un composto a base di pane grattugiato, pecorino, pomodori, basilico e prezzemolo.
  • Pitaggio: stufato di piselli, fave e cuori di carciofo tipico di Agrigento.
  • Salamoreci: insalata di pomodori freschi, pezzetti di pane raffermo bagnati in acqua, aglio, basilico, olio, sale e pepe.

L’olio è molto usato nella cucina siciliana, come in tutta quella del Mediterraneo e, ovviamente, anche dove non specificato nelle preparazioni qui sopra elencate, è da intendersi sempre, solo e rigorosamente olio extravergine d’oliva.

Formaggi

In Sicilia si fa un discreto uso anche di formaggi, usati sia in preparazioni dolci o salate, sia in purezza. Il re dei formaggi siciliani è la ricotta fresca, ma viene consumata anche al forno o essiccata al sole. Molto diffusi sono anche la tuma, una cagliata incanestrata non ancora salata, simile alla ricotta, consumata freschissima e molto usata in cucina; il caciocavallo; la provola; il pecorino, semplice o con pepe nero; il primosale, un pecorino appena salato e non stagionato, molto fresco; il ragusano, a pasta filata e dura.

Dolci

Sono la perla della cucina siciliana, quella cosa che al primo assaggio ti fa dire pur senza cognizione di causa che sicuramente al mondo non esiste una tradizione dolciaria che possa reggere il paragone per bontà e varietà.

La cassata riassume molti secoli di storia siciliana ed è frutto di felici incontri: canna da zucchero, limone, cedro, arancia, mandarino, mandorla sono stati portati a Palermo dagli arabi e si sono uniti alla ricotta, prodotta in Sicilia fin dalla preistoria, in un involucro di pasta dolce (che ancora non era Pan di Spagna) cotto in forno; sotto i normanni fu creata la pasta reale, un impasto di farina di mandorle e zucchero, che sostituì la pasta dolce come involucro; gli spagnoli introdussero in Sicilia il cioccolato e il pan di Spagna (creazione però di un pasticcere genovese) e con il barocco si aggiunsero infine le colorate e fantasiose decorazioni con frutta candita.

Adesso la cassata è dunque un involucro di pan di Spagna farcita con una crema fatta con ricotta, zucchero, pezzetti di cioccolato, frutta candita e un goccio di maraschino, ricoperta con una glassa o con uno strato di pasta reale, in genere colorate di verde, tutto decorato con abbondante frutta candita sopra. Nelle pasticcerie si trova in questo modo a fette oppure in forma di minicassatine, mentre nei forni si trova la variante semplice da forno (da provare!); viene servita come dessert anche nella maggior parte dei ristoranti o pizzerie, ma è un’abitudine siciliana consolidata quella di andare a mangiare i dolci in pasticceria dopo la cena.

I cannoli sono fatti con una cialda di pasta che viene arrotolata intorno a piccoli tubi di metallo e poi fritta; al momento di mangiarli vengono riempiti di ricotta setacciata e zuccherata, con eventuali aggiunte di pezzetti di cioccolato, canditi, granella di pistacchio o nocciole, a seconda delle zone, e infine spolverati di zucchero a velo.

La frutta martorana è pasta di mandorle lavorata a forma di frutta e prende il nome dal convento di Palermo dove le suore lo preparavano e lo vendevano fino a metà del 1900. Adesso la frutta martorana si trova in pasticceria ma anche in panificio.

Il gelato in Sicilia è molto probabilmente il gelato più buono che si possa trovare in Italia (con molte felici eccezioni a Bologna e a Torino), grazie all’ampia disponibilità di frutta fresca e all’alta qualità di tutti gli ingredienti. Molti siciliani la mattina fanno colazione con una brioche farcita di gelato, che però soprattutto nei mesi estivi può anche sostituire un pranzo o una cena. In genere i gusti classici come pistacchio, cioccolato, crema, o quelli di frutta di stagione sono anche quelli più buoni, insieme al gelato alla mandorla.

L’alternativa al gelato è la granita siciliana, anche questa molto consumata a colazione insieme alla brioche; il gusto classico è quello al limone, ma sono ottime anche quella al caffè e alla mandorla.

Altra cosa squisita che si fa con le mandorle è il latte di mandorla, che viene servito fresco in tutti i bar ed è molto dissetante.

Queste erano solo i dolci più conosciuti della pasticceria siciliana, che vanta un elenco ben più lungo; molti dolci sono legati a tradizioni locali e spesso preparati solo in certe occasioni.
In generale si trovano un po’ dappertutto dolci a base di mandorle, tritate o in pasta di mandorle (le mandorle sono un po’ il jolly della cucina siciliana, usate dagli antipasti ai dolci); anche la ricotta è molto usata, così come miele, pistacchi, cannella e frutta candita.

Fra i dolci a base di mandorle o pasta di mandorle ci sono: i baduzzi di cacao, pasticcini fatti con mandorle pestate passate nel cacao in polvere; il biancomangiare, un budino bianchissimo fatto con mandorle spellate, amido e latte; i cardinali, piccoli pasticcini di pasta di mandorle con frutta candita, scorza di limone, albumi d’uovo e pistacchio, cotti in forno, glassati al cioccolato e decorati con zucchero bianco; le conchiglie, paste di mandorle a forma di conchiglia farcite con marmellata di cedro; i cucchiteddi di Sciacca, paste di mandorle farcite con zucca candita, cotti al forno e glassati; mostaccioli di Messina, a base di mandorle e aromatizzati con cannella e chiodi di garofano.

La ricotta è usata per fare gli iris, piccoli panini raffermi svuotati della mollica, bagnati con un po’ di latte, farciti con crema di ricotta, immersi in uova sbattute, passati in un misto di farina e pangrattato e fritti, e per farcire gli sfinci di San Giuseppe, prima fritti, poi farciti e infine spolverati con zucchero a velo.

Molte specialità, sia dolci che salate, vengono preparate solo in alcuni paesi e in determinate occasioni e le feste tradizionali sono il modo migliore per assaggiare piatti altrimenti difficilmente reperibili.

Il vino

Un’isola che ha una cucina come quella siciliana non poteva certo essere da meno per quanto riguarda i vini. I più rinomati sono i vini liquorosi, come il Marsala, la Malvasia delle Eolie e i Moscati, con la variante del Passito di Pantelleria; ma sono giustamente rinomati anche molti vini rossi (come il Nero d’Avola, il Cerasuolo di Vittoria, il Donnafugata rosso per citarne solo alcuni) e bianchi (l’Alcamo, l’Etna o il Donnafugata bianco).

Per chi volesse saperne di più sul mondo gastronomico siciliano o per chi volesse cimentarsi in qualche ricetta:

  • Cascino, F., Cucina di Sicilia, Cefalù, Lorenzo Misuraca 1980
  • Colonna Romano, F., Sicilia in bocca, Palermo, Il Vespro 1975
  • Consoli, E., Sicilia. La cucina del sole, Catania, Tringale 1989
  • Coria, G., Profumi di Sicilia. Il libro della cucina siciliana, Palermo, Cavallotto 1981
  • Correnti, P., Il libro d’oro della cucina e dei vini di Sicilia, Milano, Mursia 1976
  • D’Alba, T., La cucina siciliana di derivazione araba, Palermo, Vittoretti 1980
  • De Simone, G., La cucina di Sicilia, Caltanissetta, Edizioni d’arte nuovo sud 1974.
  • Denti Di Pirajno, A., Siciliani a tavola, Milano, Longanesi & C. 1970
  • Dèttore, M., Sapori di Sicilia, Firenze, Grafiche Editoriale Padane 1999
  • Di Napoli Oliver, F., La grande cucina siciliana, Palermo, Flaccovio 1991
  • Limatora, G., Antica cucina siciliana, Napoli, Lito-Rama 1998
  • Lodato, N., Le ricette della mia cucina siciliana, Milano, Edizioni del riccio 1978
  • Pomar, A., Antichi sapori di Sicilia, Napoli, Edizioni del Mezzogiorno 1978
  • Randazzo, G., La cucina siciliana, Palermo, Reprint 1994
  • Sapio Bartelletti, N., La cucina siciliana nobile e popolare, Milano, Franco Angeli 1980

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Tour nel Barocco Siciliano – Sicilia Turismo

Un tour nel barocco siciliano: Val di Noto e non solo

Tappa immancabile di questo tour tematico è naturalmente il Val di Noto, la terra dei “giardini di pietra”: Ragusa Ibla, Modica, Scicli, Ispica, Palazzolo Acreide, Noto, città aggrappate a pendii e creste collinari delle quali sfoggiano lo stesso colore ambrato e che hanno regalato al barocco siciliano il titolo di Patrimonio Unesco dell’Umanità.

La loro origine è antichissima, ma i devastanti terremoti che hanno colpito la Sicilia orientale in varie epoche hanno cancellato le vestigia più antiche di cui si conservano solo poche testimonianze rinascimentali. L’aspetto attuale lo dobbiamo alla ricostruzione avvenuta in seguito al violento terremoto del 1693, nella quale fior fior di architetti si sono sbizzarriti per tutto il XVIII secolo nel rimettere in piedi i nuovi centri urbani: Rosario Gagliardi, Paolo Labisi, Vincenzo Sinatra, Antonio Mazza, Filippo Iuvarra. Alcune città sorsero sulle macerie dei vecchi centri urbani distrutti, altre, abbandonati i siti devastati dal sisma, ricostruite su terreni più favorevoli, in altri casi i nuovi centri sorsero a fianco di quelli vecchi.

In un’epoca in cui l’architettura doveva riprodurre il fasto e la potenza di Chiesa e nobiltà, gli edifici civili e religiosi divenivano il terreno in cui giocavano spettacolarizzazione, invenzione e rappresentazione teatrale, plasmati nella pietra fine e compatta che, duttile da lavorare, permetteva di dare il massimo risalto all’eccessività di queste imponenti scenografie barocche.

Prima fra tutte Noto, unica al mondo per la sua omogeneità stilistica. Qui si trovano tre piazze e una teoria di chiese e monumenti che restano tra le espressioni più alte del Settecento europeo: la chiesa di San Domenico, dalla facciata convessa, quella di Santa Chiara, dall’interno ovale, e la maestosa Cattedrale che divide la piazza con il Palazzo Comunale.

Modica e Ragusa Ibla custodiscono altri episodi di altissimo profilo artistico: la chiesa di San Giorgio a Modica, ristrutturata fra il 1761 e il 1850, vanta una delle più belle facciate tardobarocche del Vecchio Continente; la chiesa, sempre intitolata a San Giorgio, a Ragusa Ibla è il monumento più bello della città, con il suo campanile convesso e la spettacolare facciate in posizione leggermente sghemba rispetto alla piazza.

A Ispica merita una visita la chiesa dell’Annunziata, con l’interno decorato a stucchi; a Palazzolo Acreide la chiesa di San Paolo, con la facciata a torre e una bella loggia; a Scicli la spettacolare chiesa di San Matteo che sembra un tutt’uno con la grande roccia alle sue spalle, dove sembra incastonata.

Un bel modo per visitare questo enorme museo a cielo aperto è il Treno Barocco, un percorso ferroviario di recente ristrutturazione che permette di godere dei paesaggi naturali dei Monti Iblei, oltre che architettonici, del Val di Noto.

Le città del Val di Noto hanno la peculiarità di avere i propri monumenti più importanti inseriti in un contesto stilisticamente omogeneo che le rende delle vere e proprie città museo. Ma se amate il barocco, diverse altre cittadine, soprattutto nella Sicilia Orientale e meridionale, offrono all’interno del loro tessuto urbano architetture uniche che reggono perfettamente il confronto con il paesaggio urbano barocco più “Noto”.

Come ad esempio Acireale, sulla Riviera dei Ciclopi, nel cui centro storico si trovano: la Basilica di San Sebastiano (d’impianto seicentesco ma restaurata anch’essa dopo il terremoto del 1693), dalla fastosa facciata su cui compaiono 10 statue ornamentali; la scenografica piazza del Duomo, dove sorgono il Duomo, anche questo rimaneggiato all’inizio del XVIII sec., la basilica dei Santi Pietro e Paolo, risalente al 1642 con prospetto settecentesco e facciata a due ordini, e il Palazzo Comunale, del 1659 e in tipico barocco fiorito catanese, con balconate rette da mensole intarsiate in figure grottesche.

Grammichele, sempre nel catanese, fu fondata dopo il terremoto per accogliere i superstiti del borgo di Occhiolà. Venne progettata secondo uno schema a esagoni concentrici con al centro esatto una grande piazza. L’omogeneità del suo tessuto urbano la rende un vero gioiello architettonico. Particolarmente bella la Chiesa Madre, dedicata a San Michele ed edificata tra il 1735 e il 1765.

Nel siracusano si trovano Avola e Buscemi.
Avola è una città costruita ex novo e strutturata intorno a uno schema a croce entro un perimetro esagonale; i suoi monumenti più belli sono la Chiesa Madre, con facciata a torre, la chiesa patronale di Santa Venera e quella di Sant’Antonio.
Buscemi è stata invece distrutta dal sisma e ricostruita; molto belle la Chiesa Madre, con facciata a tre ordini, scenograficamente disposta su una scalinata in pietra lavica, e la chiesa di Sant’Antonio.

Palma di Montechiaro invece si trova in provincia di Agrigento ed è stata progettata per volontà del principe Carlo Tomasi di Lampedusa che la fondò nel 1637. Anche qui la Chiesa Madre (1666-1703) è elemento di particolare pregio.
Ferla, sempre nell’agrigentino, è di antica fondazione e le sue architetture barocche successive al terremoto si sono sovrapposte a quelle tardo ellenistiche. Tra gli edifici religiosi di spicco: la Chiesa Madre, dedicata a San Giacomo, e quella di San Sebastiano.

In provincia di Caltanisetta si trova Niscemi, con la bella Chiesa Madre di Santa Maria dell’Odigitria e la chiesa dell’Addolorata.

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Mozia – Sicilia Turismo

Fondata dai fenici nell’VIII sec. a.C. Motya (Mozia) fu una delle tre principali colonie fenicie in Sicilia insieme a Palermo e a Solunto. Successivamente divenne il maggiore centro punico della Sicilia, ma nel 397 a.C. fu completamente rasa al suolo datiranno di Siracusa Dionigi I.

È l’unico dei tre siti fenici sul quale non fu costruito niente in epoche successive, ma fu ugualmente scoperta solo nel Seicento e cominciata a scavare agli inizi del XX sec. per volere dell’archeologo, ornitologo, factotum Joseph Whitaker, al quale si deve anche la fortuna del vino Marsala.
Le rovine occupano tutta l’isola di San Pantaleo, raggiungibile in pochi minuti di barca dalla terraferma (o di sguazzo nello stagno, ma è veramente poco consigliabile, anche perché giustamente al museo non vi faranno entrare).

All’inizio dell’area archeologica si trova, oltre la biglietteria, il Museo Whitaker, che raccoglie i reperti rinvenuti durante gli scavi sull’isola. Fra tutti, il Giovanetto di Mozia, una grande scultura marmorea del V sec. a.C. raffigurante un uomo (probabilmente un ufficiale di alto rango) in posa sensuale e disinvolta, con una tunica che fascia le forme atletiche del suo corpo muscoloso.

Fuori dal museo iniziano le rovine.
La Casa dei Mosaici, un complesso di due abitazioni i cui pavimenti sono decorati con mosaici in bianco e nero.
Verso nord si costeggia un tratto ben conservato delle mura seguendo piste sterrate che anticamente erano le vie principali della città, molte delle quali terminavano presso la porta nord, adesso difficilmente riconoscibile. A sinistra dela porta, lungo la riva, si trovano la necropoli e il tophet, il santuario fenicio-punico dove sono stati rinvenuti la maggior parte dei reperti. Poco lontano dalla porta, verso l’interno, si stende un quartiere industriale punico anticamente dedicato alla produzione di vasellame e ceramiche.

Area archeologica di Mozia

Orari:
Da aprile a ottobre: 09:00-19:00
Da novembre a marzo: 09:00-12:00
Aperto tutti i giorni.

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